Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Sembra che il ritorno delle stagioni, o
almeno delle ultime due ci stia mettendo non poco in difficoltà.
Così ad ogni evento climatico i Comuni devono affrontare delle
crisi, i Vigili del Fuoco intervengono a ritmo continuo, la
protezione civile allerta, i volontari intervengono... e soprattutto,
tutti assieme si assiste impotenti alla volontà della natura.Ma se
le nevicate di quest'inverno avevano dell'eccezionale non si può
dire lo stesso delle piogge che mettono a dura prova i nostri
territori. E non possiamo nemmeno sperare che la situazione cambi,
visto che con il riscaldamento globale si prevede che nelle nostre
aree gli eventi alluvionali andranno aumentando di frequenza ed
intesità.
Cosa potrà fare chi sarà chiamato ad
amministrare nei prossimi anni per cercare di contenere i danni? Non
è facile, e come spesso accade quando si ha a che fare con la
natura, non è facile da digerire, perché spesso impopolare. Io che
sono andato in tv, sono laureato e tutti mi conoscono*
posso giocarmi un
po' della mia popolarità per affermare alcuni punti:
la pulizia dei
fiumi e dei rii laterali è di primaria importanza per la
prevenzione delle alluvioni ma a patto che venga fatta con criterio.
Un torrente senza anse, isolotti e vegetazione non è in grado di
rallentare la velocità dell'acqua.
La vegetazione
del fiume e dei torrenti va controllata, vanno estirpate anche
dalla prossimità degli argini le piante con apparati radicali poco
resistenti, in particolare i pioppi ma anche le robinie non fanno
certo del bene alla salute del sistema. Vanno invece preservati gli
ontani, le querce e le piante autoctone nate da seme, che negli
ultimi eventi hanno fermato molti tronchi che arrivavano da monte.
Ed è meglio se sono le piante degli isolotti a fermare il legname
che i ponti.
Come accade
più a valle, in tutta la pianura padana, è necessario prevedere,
direi in ogni comune, delle zone di laminazione, dove i torrenti
possano esondare senza fare danni, allagando quelle zone agricole
che già storicamente avevano meno valore (“lo lì l'è na
gravera” non è un complimento parlando di fondi rustici). Per
questo la Regione ha già realizzato degli studi mi pare, e cercando
sul catasto si individuerebbero facilmente le zone adatte, che
spesso sono demaniali. Certo, c'è il rischio di avere qualche
grana, ma nessuno può pretendere di avere i terreni in Varaita e di
non essere allagato ogni tanto; sarebbe come mettere i kiwi a
Fontanelle e pretendere che non gelino.
Bisogna
riuscire a limitare l'acqua che finisce nei torrenti, altrimenti
finiamo come a Genova, dove ad un temporale corrisponde un
alluvione. Le superfici in grado di fare da spugna per le piogge
sono diminuite moltissimo, e la tendenza non è a smettere. Allora
una soluzione potrebbe essere imporre a chi costruisce su un terreno
che prima era agricolo di utilizzare il più possibile
pavimentazioni drenanti, prevedere delle vasche di raccolta delle
acque piovane (che si potrebbero poi utilizzare per irrigazione di
orti, lavaggio veicoli, toilette). Oppure una bella moratoria
provinciale su certi tipi di costruzioni evitabili (residenziale
quando nel raggio di 10 km esistono edifici recuperabili al momento
vuoti, idem per l'artigianale quando non legato all'ampliamento di
una attività esistente...)
Per il momento
iniziamo a ringraziare la Regione che ha destinato dei fondi per
ricostruire gli argini del Varaita dove sono stati distrutti l'estate
scorsa, ma non illudiamoci che massi ciclopici e gabbionate diano in
grado di contenere l'acqua. Bisogna che ci mettiamo in gioco e
pensiamo a soluzioni che arrivino da monte, in tutti i sensi.
*citazione, di autore che non cito
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